Il conditum paradoxum non è altro che l’avo del vin brulé del quale parla Mario Gavio Apicio (25 a.C.-71 d.C.) nel De Re Coquinaria; all’epoca era composto da vino, miele, pepe, zafferano, datteri, foglie di nardo (lavanda) e fuoco che si serviva alla fine del pasto.
Il vin brulé ci accompagna per i secoli bui del medioevo ed oltre con varie miscele di spezie ed erbe officinali, arrivando ad essere considerato una vera panacea.


Oggi riscalda le fredde serate invernali e lo prepariamo miscelando vino rosso e zucchero, scorza d’arancia e bacche di ginepro, cannella e chiodi di garofano, anice stellato e noce moscata, qualcuno aggiunge anche fette di mela.
L’importante secondo me è, dopo averlo fatto sobbollire per qualche minuto, avvicinare una fiamma alla superficie per fiammeggiare ed eliminare così più alcool possibile in modo da eliminare anche la falsa sensazione di calore che dà l’alcool e far rimanere solo l’arcobaleno di profumi e sapori che ci scalderanno.