Nella mia precedente vita da ristoratore ebbi il grande piacere di partecipare ad una cena di degustazione organizzata da produttori di Barolo e capitanata da Elio Altare, istituzione vivente tra i barolisti.
Ci parlò della fortuna di noi osti che, insieme ai nostri chef, dopo aver ideato un piatto potevamo provarlo cento volte fino a perfezionarlo per poi proporlo ai nostri clienti. E aggiunse: “La prima volta che ho curato vendemmia e vinificazione avevo vent’anni; oggi che ne ho sessantatré il vino l’ho fatto solo quarantatré volte e mai nelle stesse condizioni.”
Riflettiamo allora su quanto sia importante nella vinificazione, per sua natura così delicata e mutevole, la tradizione del territorio. Fare tesoro delle esperienze dei padri e collaborare condividendole tra produttori: un atteggiamento illuminato che consente ad una realtà vitivinicola di non essere solo produzione ma divenire soprattutto cultura del territorio.
Il sole comincia a scaldarci e piuttosto che a un invernale barolo possiamo cominciare a pensare a vini più beverini. Ve ne propongo tre dalla spiccata identità territoriale:
- dal Piemonte il Barbera del Monferrato vivace La Monella di Giacomo Bologna;
- dalla Lombardia la Bonarda vivace dell’Oltrepò Pavese di Ca’ di Frara;
- dalla Toscana il Chianti Colli Senesi Campale de Il Colombaio di Santa Chiara.
Tutti e tre sono adatti a primi piatti con sughi d’arrosto, a grigliate miste ma anche ad un panino col salame.