In cantina ho una bottiglia di Metodo Classico Martini Montelera 1938 che conservo come ricordo di un anno importante. Quello in cui mio padre Sirio, appena quattordicenne, lasciò Piteglio e la famiglia contadina della montagna pistoiese per trasferirsi a Milano ed iniziare la gavetta che lo avrebbe portato a diventare cuoco; succedeva negli anni in cui camerieri e cuochi erano chiamati disertori, rispettivamente, della penna e della zappa.
Metodo Classico Martini Montelera 1938
Prendo spunto proprio da questa bottiglia per parlarvi di spumante.
In Italia le prime fermentazioni in bottiglia che riprendevano la tradizione francese dello champagne iniziarono nel 1865 ad opera dei Gancia e successivamente si estesero trovando territori di elezione in Franciacorta e Trentino.
Mentre in Francia per lo champagne e i vini in genere una ferrea legislazione ha sempre conservato inalterate qualità e caratteristiche del prodotto, da noi in Italia c’è stata più libertà, così, accanto ai classici spumanti che usano uve tradizionali come il pinot nero e lo chardonnay, sono nati tanti altri prodotti fatti con vitigni autoctoni, l’asprinio di Aversa, il verdicchio, il sangiovese, l’aglianico; insomma con quasi tutti i vitigni italiani.
La caratteristica di base di uno spumante metodo classico brut è l’acidità abbinata alla morbidezza conferita dalla finezza delle bollicine che accarezzano il palato.
Mi raccomando, le buone bottiglie non sprecatele per un brindisi, ma godetevele con piatti che hanno una tendenza di base dolce come risotti e crostacei.
Finisco consigliandovi due prodotti:
- il Franciacorta brut Bellavista, che ospitammo nel ristorante di famiglia in occasione di una degustazione con l’enologo Mattia Vezzola, come spumante d’eccellenza;
- il Ca’ di Frara brut di Luca Bellani dell’Oltrepò pavese, per il rapporto qualità-prezzo particolarmente favorevole.
Vigneti dell’azienda Ca’ di Frara nell’Oltrepò pavese